mauro rea artista
patafisico anche

Maria Cristina Ricciardi - Tra mutazioni antropologiche e necessarie identità



L'esplorazione pittorica di Mauro Rea ha un carattere certamente visionario, perchè trascende     la realtà, ma al tempo stesso la sua componente fantastica, rivolta a memorie archetipe, è fonte di un pensiero che appartiene profondamente alla natura umana e coinvolge imp'licazioni sociali e ideologiche.
Come tutti i poeti egli è un essere speciale e unico, libero di creare e obbligato a farlo, perchè la priorità di questa sua forte dimensione emotiva lo pone 
nella condizione di non poter fare a meno dell'attività artistica.
E di questo - nel bene e nel male che tale condizione comporta - egli ne è pienamente consapevole.
Intendo dire ch eil pittore Mauro Rea, che non è certamente un "omologato", inventa con libera ispirazione, attivando deformazioni oniriche e meccanismi dell'intelletto ma senza improvvisare, lavorando efficacemente su un concetto di comunicazione che è radicato nelle motivazioni del suo fare artistico.
Quasi quaranta anni sono trascorsi dalla sua prima mostra. Un percorso lungo in cui non può non trovare spazio la tenacia, la solitudine, l'impegno ossessivo e l'amore.Perchè ci vuole fatica e amore ad essere artisti, nella difficoltà di individuare, fra le strade possibili, il proprio modo di essere pittore. 
E questa non è cosa facile perchè devi scegliere ancora prima che arrivino i necessari chiarimenti, allorquando l'artista può solo lavorare sul suo linguaggio, lavorare e lavorare.
E togliere tempo alle tante cose che compongono la vita delle persone comuni. Ma - ritorno a dire - l'artista è un poeta ed egli sa che esiste una espressività capace di trascendere la realtà dentro cui siamo calati anima e corpo.
Ho letto sensibili testimonianze critiche sul lavoro di Mauro Rea definito patafisico, apocalittico, artista dalla dimensione ancestrale, dall'immaginario animalesco, 
indomito, materico, quasi ossessivo nella sua profonda misteriosa, violenta primitività. Sono tutte cose istanze condivisibili, perchè è autentica la suggestione
che la sua pittura esercita, trattenendo lo sguardo, e mi riferisco a quel senso di ritualità sacrale e cruenta che i suoi recenti dipinti sanno evocare. 
Scenari tribali che non hanno nulla di rassicurante - premesso mai che il nostro presente lo sia. Un "ritorno al passato" che punta sul valore della carne, delle ossa, del sangue. E che guarda al futuro, perchè lui, Mauro Rea, quella carne, quelle ossa e quel sangue sente di amarli davvero.
Senza arte nè parte, forse non inutilmente ci richiama la recente commedia di Albanese, incentrata sullo scollamento tra la realtà del mondo del lavoro e lo snobismo privilegiato di quello dell'arte contemporanea. E' un titolo che va inteso semplicdemente per il suo significato più diretto  e cioè "non possedere nè una preparazione teorica e nè un mestiere". Significa, dunque, essere senza identità. E l'identità, una delel parole più usate nell'ambito delle scienze 
umane - finanche abusata - riguarda la coscienza che l'individuo non solo ha di se stesso, ma il suo gradoi di identificazione con la società al cui interno egli si muove.Senza identità, dunque, non esiste la dimensione della memoria, e tantomeno quella della Storia.
E arriviamo all'asse tematico intorno cui ruota tutto il ragionamento di Rea, che con la sua pittura ci richiama -  e lo ringraziamo di questo - quell'idea di "cataclisma
antropologico" di pasoliniana memoria che, nel frattempo, accrescendo la propria mostruosa faccia, è passata dai danni prodotti dal consumismo industriale degli anni Sessanta alla degenerazione che abita quotidianamente dentro il nostro vivere. Perchè il problema di fondo resta sempre la vita dell'uomo, ridotto a oggetto di altrui dominio, ieri vittima del consumo di massa e dell'edonismo - fenomeno che Pasolini già intravvedeva prima del suo pieno dispiegarsi nel decennio 
successivo - oggi oppressa dal dominio tecnologico, dalla irriversibile omologazione imposta dalla globalizzazione, dal malcostume e dall'arroganza.
La mutazione antropologica è il nocciolo della comunicazione artistica messa in cam,po da Rea. Un richiamo etico ai cambiamenti che avvengono nei nostri patrimoni ereditari, laddove ai modelli si sostituiscono altri modelli, ai valori, altri valori che non sempre ci rendono migliori.
Resta però che l'arte non è un bollettino di borsa, ma un atto creativo e irrequieto, dunque un linguaggio alternativo che costituisce e scardina, conosce, esplora, afferma la necessità del pensiero, l'esasperazione ad andare oltre.
Di qui l'esigenza di Rea di affermare antiche ragioni dell'uomo, recuperare l'urlo del tempo, 
tornare alle origini delle cose come processo di purificazione e comprensione, portarsi alla fonte della genesi artistica, nutrirsi di energia primitiva e vitale, godere dell'ibridazione di segni, parole, simboli, forme, immagini, vivere il piacere dello sconfinamento, oltre il perimetro compositivo delle sue creature oniriche e primigenie: pesci dall'occhio vitreo, rettili, antenati scimmieschi, iconografie di essenze arboree, visioni di culti solari, di totemiche presenze, che connotano 
la libertà del suo mondo visionario. Immagini che non cercano alcuna decifrazione. Esse sono lì, tra ciò che affiora e ciò che scompare, tra sedimenti, concrezioni, grumi materici e stratificazioni plastiche.
Sono lì perchè l'artista ci vuole attenti al repsiro del tempo che si misura con una creatura ferita e si mescola all'odore del sangue, al dolore che affiora, alla mutevolezza dell'apparire, perchè nell'incessante mutagenesi a cui l'uomo è sottoposto, egli sa bene che nulla può essere cancellato, che il danno inflitto resta e che la sfida ad essere autenticamente uomini passa sempre dalla possibilità di riconoscerci.
 
Maria Cristina Ricciardi, Chieti 2014
 
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