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Tania Lorandi - Un patto di sangue (A Mauro Rea)





Scrivere di Mauro è come scrivere di una "tranche" della mia vita. 
Basterebbe dire che la porta-finestra di un appartamento dove ho vissuto per anni si affacciava direttamente sul suo piccolo studio di Lovere.La parete che dava sul cortile, era di vetro zigrinato e mi permetteva di distinguerlo mentre si muoveva all'interno. Ricordo che molte volte, nel buio o nella solitudine, mi perdevo nel fantasticare su cosa producesse l'immobilità di Mauro. Era un modo per colmare dei miei vuoti interiori.

Potrebbe sembrare un'evasione dalla noia, un gesto casuale, banale o distratto, invece era per me come decidere di guardare un film che lasciava totale spazio alla fantasia.
 

Niente suono e parole, soltanto il silenzio e l'ombra di Mauro che si muoveva o che per lunghi momenti stava ferma, poi si muoveva ancora. E' così che ho potuto immaginare i toni e le cere che lui colava, quanti fossero gli strati, il loro spessore e da quali trasparenze emergessero le materie che avrebbe sovrapposto ad altre. Quali tagli avrebbero delimitato le forme e da quali mondi fossero emerse.
 

Dovendomi costringere ad inventere dipinti che lui avrebbe potuto realizzare, ho iniziato a capire la pittura di Mauro, a cercare la pittura di Mauro, perchè la pittura si va a cercare quando la si ama.

Mauro è un mistero dopo l'altro. E' la raffigurazione di colui che si dà con timore e ritegno. Dice per non dire o forse ha taciuto lo sguardo, la sua impronta, il suo essere-esistente.

Parlare di Mauro significa dunque per me immergermi in un patcwork di spazi, toni, materie, colori e forme che costituiscono oggetti che per un tempo ho premonito e che, come una provocazione, hanno riempito la mia pigrizia d'artista.
 

Ed ora restituisco il soggetto di questo furto e con riverenza, con piccole pennellate che destrutturano l'immagine, vorrei trasmettere il sapore di un'amicizia corta di 20 anni, lunga un'eternità, o fatta di quest'istante sola/mente, tranciato da tempi e spazi che non ci divisero mai.
 

Si, perchè in realtà, tutto iniziò ancora prima, in una piccola galleria di Bergamo, e furono forti e d'impatto le emozioni che mi diedero le sue tele, quando le incontrai la prima volta.

Le grandi tele appese ai muri che mi si imposero, mentre scendevo quattro scalini, dimostravano ciò che ho sempre accolto come come un fatto di qualità: le opere non avevano più spazio, non misuravano più due metri per uno e mezzo, uscivano dalla loro dimensione.
 

Erano città o segni oscuri e profondi come catrame, che mi ricordavano Metropolis di Fritz Lang, o forse erano opere astratte? Non è mia intenzione imbrogliare, solo che Mauro non impedisce allo spettatore di inventarsi dei motivi per perdere la strada, tuttavia, non proibisce neanche il viaggio di ritorno.

Mauro è generoso e non impedisce quando crea che lo spettatore diventa a suo turno creatore.

Confido, con un certo pudore e una certa vergogna, è vero, che prima mi sono state amiche le sue opere, le ho da subito sentite come un dono, si donavano, si lasciavano donare, io e loro ci siamo scambiate simpatia, ci siamo capite. Abbiamo fatto corpo.
 

Queste sono un dono, dunque, si donano e si lasciano donare, si danno, e siano pure danno per l'essere
sensibile, perchè la lama è a doppio taglio, toglie di quà e di là... dà.

Se mi viene da dire ciò, è perchè l'affetto che mi lega a Mauro, che lega lui a me, è di una tale fiducia che sò
di potergli dire tutto senza che lui se ne risenta. Mauro mi concede infinite licenze sul suo conto e se mi chiama
"amore mio", se mi chiama "patafica", non è perchè mi manca di rispetto, ma soltanto perchè anch'io a lui
concedo infinite licenze.
 

Dà li in poi sono state maglie di catena, l'una dopo l'altra, un concatenarsi a tratti ampi e larghi, anche se distribuiti, rari, e dunque pregiati, ricercati, coltivati.

Abbiamo condiviso a Roma una mostra alla galleria Parioli di Ugo Bellucci, ci siamo trovati a Napoli da Mario Persico per Patapart * a cena, intervistati, spontaneamente, un Natale ad Avezzano, rivisti ad Ivrea al Museo La Carale da Adriano Accattino per parlare d'arte.
 

La tela di lino che contiene i fatti è spessa e forte, come la si tesseva tanto tempo fa, l'intelaiatura che gli dà contorno è robusta, la figura che ora traspare è la nostra amicizia.

Tra Mauro e me sta l'incomprensibile, non l'incomprensione,ciò che nessuno può capire e che non capiamo neanche noi. Forse in un'altra vita siamo stati fratelli, due uomini che si amarono e morirono l'uno per l'altro. Allora fu un patto di sangue,non ci sarebbe potuto essere nessun compromesso.

Alcune cose purtroppo non vanno comprese che nell'oscurità di una candela o al buio di una lampada.

Così sono i paradossi.
 

Ma la cosa più enigmatica, è che a noi, in fondo , l'arte non importa.

Nello stesso modo in cui il prigioniero non avverte più i muri della sua prigione.

Noi sappiamo che la nostra è una condizione e una tacita intesa che ci indica di non tenerne conto.

Viviamo in coro la nostra tragicità che ci traspare dietro gli strati di velo che riescono a farcela dimenticare e nutriamo, nello stesso modo, mostruosi pensieri, disegnando nell'aria la nostra salvezza.

E' una danza, non la compiamo nello stesso spazio, ma nello stesso tempo sì.
 

Dunque, non ho voglia di teorizzare tutti i dipinti di Mauro Rea che stanno appesi ai muri di casa mia.

Ognuno di loro è un ricordo di un momento, un avvenimento, un'operazione, un incontro, una fusione, un invito o un ritardo avvenuto tra noi, voluto, unico! Sono momenti posati, ma mai atti mancati.

Ogn'uno di loro ha una storia nella storia, nella storia...

 

Tania Lorandi



Studio Rea - Lovere ( Bergamo) foto Tania Lorandi
 

 
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